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Effetti degli psicopatici nel quotidiano. Aggiornamento 18/12/2016

Articolo prelevato dal blog: l' "Arte di salvarsi".


Traduzione di Gabriella Maddaloni.


Chi è colui che chiamiamo “psicopatico” o ”psicopatico quotidiano”?
Uno psicopatico è una persona. Lo sottolineo, perché diverse tra le persone danneggiate dalla relazione con uno psicopatico non lo chiamano “persona”, molto meno. In genere si riferiscono a lui come il “gran figlio di p.”. Non parleremo qui dello psicopatico esacerbato: ossia l’assassino seriale, lo stupratore sequenziale, né il perverso estremo. Parleremo piuttosto dello “psicopatico quotidiano”,  cioè quello che esercita la sua psicopatia nella coppia, nella famiglia, sul posto di lavoro, al club. Coloro che mostrano i loro tratti psicopatici e non sono segnalati come “asociali”.

Comunque, soggettività a parte, è una persona. Per essere più precisi, è un particolare tipo di personalità, un modo di essere nel mondo che si distingue dal grosso della popolazione. Per quali caratteristiche? Per il fatto di avere bisogni speciali e cosificare le altre persone.

Ѐ proprio della natura degli esseri viventi avere dei bisogni: ad esempio il bisogno degli elementi esterni per la sopravvivenza (cibo, rifugio, riproduzione e altro). I bisogni comuni, però, sono consensuali e comprensibili, cioè condivisi dall’intera maggioranza: bisogno di nutrirsi (e di un modo per farlo), bisogno degli altri (per sicurezza, per debolezza individuale), ecc. Questi bisogni li capiamo (intelletto) e le comprendiamo (empatia e modi di vivere simili). Sono bisogni tipici e comuni.

2. E la cosificazione?
Significa togliere la gerarchia, il valore di persona all’altro e trattarlo come una “cosa”, come qualcosa che si “usa e getta”, verso cui ci si permettono maneggi e manipolazioni che sarebbero indegni verso un’ altra persona.  Su di una cosa si può fare qualsiasi azione senza provare dispiacere interiore (colpa) per le conseguenze delle azioni stesse. Ѐ un tipo di impunità interiore che ha lo psicopatico, un giudice benevolente che dà priorità alle necessità dello psicopatico rispetto alle conseguenze negative che i suoi atti hanno sulle altre persone. “Il fine giustifica i mezzi”, afferma questo giudice machiavellico.

Già questa è una delle chiavi per avvicinarci, almeno un po’, alla comprensione intellettuale di come “funzionano” queste persone “speciali”: tu, la persona che sta con lo psicopatico, non sei trattato alla sua pari, ma come qualcosa di inferiore a lui, che è “usa e getta”, indegno, come appunto una “cosa”. Grandi sono le lamentele dei complementari (quelli che vivono con gli psicopatici) nel rendersi conto che non sono trattati né come persone, né come donne, né, a volte, come mere “femmine”, ma giungono ad essere “quasi nulla” per lo psicopatico, che vedono in loro solo l’utilità per i propri fini e i loro obiettivi transitori.

 3. Quanti sono (gli psicopatici)?
Ѐ stato calcolato, essendo ottimisti, che gli psicopatici sono più o meno il 3% della popolazione. Su una base, in Argentina, di 40 milioni di persone, gli psicopatici saranno circa 900.000 (novecentomila).

4. Sono tutti maschi?
No. Di questi 900.000, il rapporto è di 3 uomini a 1 (una) donna, vale a dire che ci sono circa 300.000 (trecentomila) psicopatiche.

5. Tratti salienti
Gli psicopatici lavorano sempre solo per sé stessi.
A volte fingono di essere altruisti, generosi, disinteressati. Non cadete in errore: stanno investendo, prima o poi trarranno il succo da quelle relazioni e quei regali. Abbiamo avuto esperienze di politici “che lottavano per la patria”, “per il recupero dell’identità nazionale”, “per la grandezza del Paese”, “per i diseredati”. Tutti obiettivi molto gregari ma, sotto sotto, stavano solo lavorando per portare a compimento i loro bisogni speciali;

Lo psicopatico non realizza azioni psicopatiche al 100% della sua condotta.
Ciò confonde parecchio le persone comuni, che credono che uno psicopatico mostri costantemente condotte atipiche o asociali. No, al contrario: la maggioranza di questi atteggiamenti sono “adattati” e solo in una piccola percentuale di casi si mostrano come psicopatici, e non con chiunque, ma…

Lo psicopatico mostra la sua psicopatia con il complementare (la persona che vive con lui), con altri psicopatici (quando si associano per raggiungere un obiettivo: bande di delinquenti, partiti politici, imprenditori) e quando agisce su persone comuni (quando le violenta, le aggredisce, le truffa, ecc.);
Ѐ difficile da identificare.
In generale passano inosservati. Alcuni sono gentili, amorevoli, sanno relazionarsi alle persone, sono seduttori, persino “affascinanti” (ce ne sono anche di molto sgradevoli), ed esercitano la loro psicopatia solo in ambiti separati dai luoghi che frequentano abitualmente;

Hanno la tendenza ad avere una “doppia faccia”.
Come Giano Bifronte, hanno una “doppia faccia”: una davanti ai complementari e alla loro famiglia, e un’altra di fronte al resto della società. Hanno la tendenza ad essere tirannici, despoti, acidi, silenziosi con la loro famiglia e socievoli, gradevoli e richiesti davanti a tutti gli altri. In questo modo, gli amici esterni alla famiglia non ci credono quando un complementare o un figlio dello psicopatico racconta loro com’è il comportamento dello psicopatico stesso all’interno della famiglia;

Sono convincenti.
Sanno essere carismatici e seduttori. Convincono gli altri, talvolta addirittura li affascinano perché seguano i loro progetti o interessi. Gli strumenti che usano sono: una perspicacia speciale per captare i bisogni e le debolezze altrui, la capacità di “espandere” le libertà represse, la bugia (sono dei veri artisti della menzogna), la coercizione, la recita (sono attori nati);

Minano l’autostima altrui.
Lavorano come scultori , “tagliuzzando” tutti i valori del complementare, fino a eliminare a poco a poco tutto ciò in cui crede come persona (la dignità), arrivando a trasformarlo in un essere dipendente e richiedente dei capricci dello psicopatico (uno schiavo). Si tratta di un processo niente affatto acuto o maldestro. Si attua come fine carta vetrata, ma costante e senza fermarsi. La maggior parte delle volte il complementare non è per nulla cosciente della profondità del suo deterioramento come persona. Dinanzi all’allarme generale della sua famiglia d’origine, dei suoi amici, che lo avvisano del disastro imminente, il complementare ignora gli avvertimenti e continua ad essere annebbiato dal comportamento dello psicopatico che, consapevole di questo, lo porta all’…

Lo psicopatico isola il complementare e tutta la sua famiglia. Chiunque possa interferire col suo potere interno è squalificato, disprezzato (in maniera sottile, ovviamente), finché il complementare si rende conto che questa persona è negativa per lui. Così resta innanzitutto senza amici, poi senza più rapporti né con i fratelli, né con i genitori, e il suo unico sostegno è…lo psicopatico;

Uso e abuso.
Giunto a questo punto, il complementare è pronto per l’uso ed abuso da parte dello psicopatico, che adesso sì che mostra la sua parte più sgradevole e tirannica, ma che non ha più nessuno che possa provarlo;



Un lungo sogno.
La relazione psicopatico-complementare affonda il suo ancoraggio nell’irrazionalità. Non c’è nulla di logico che possa spiegare questa unione. Ѐ tuttavia molto solida e recidiva. La persona sottomessa allo psicopatico sembra affondata in un lungo sogno, una nebbia di irrealtà avvolge tutta la parte negativa della relazione. Qui gli argomenti di coloro estranei al circuito psicopatico collidono con una barriera incomprensibile, posta dallo stesso complementare che si lamenta, ma che darebbe la sua vita pur di seguire lo psicopatico.

6. Quando un terapeuta può agire professionalmente sulla psicopatia di uno psicopatico?
Mai.

7. Perché è così categorico?
Molto semplice: perché la psicopatia è un modo di essere. Non è una malattia, non è neppure qualcosa di acquisito in seguito a maltrattamenti infantili, vale a dire che non è qualcosa che si apprende. Ѐ così. La letteratura in materia ci mostra esempi di tutti i tipi di terapie, e il risultato è lo stesso: continuano a rimanere ciò che sono.

8. Possono modificare la loro condotta?
Sì, se ciò può dar loro qualche vantaggio. Ad esempio, se hanno commesso un delitto e sono stati incarcerati, possono comportarsi come “detenuti modello”, perché sanno che questo riduce la pena del 30%. Possono andare in terapia perché quando il complementare è ospite e lo psicopatico il parassita, pretende che lo faccia. Insomma, quando conviene a loro.

9. Quando il terapeuta può consigliare colui che esercita il ruolo di complementare?
Quando il complementare si è consumato nella relazione (l’effetto dello psicopatico sul complementare è come quello di un vampiro energetico: “succhia” le energie, l’anima del complementare, che sembra essere un “anemico” a causa del logoramento). Quando lo psicopatico lo lascia per un altro. Ma non si può far nulla quando il circuito psicopatico è ben vigoroso e il complementare dorme il sonno degli schiavi.


Articolo della dottoressa Claudia Scarpati, Facebook.

IL SILENZIO DEL NARCISISTA, L’ATTESA DELLA VITTIMA
Il silenzio del narcisista è la più crudele delle armi che sia in grado di utilizzare ed è quella che, più di ogni altra, condizionerà il comportamento della vittima.
Perché un narcisista si avvale del silenzio?
In primo luogo, nel momento in cui interrompe ogni contatto con la propria vittima, può ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.
Nella fase del silenzio, un narcisista non deve fare assolutamente nulla: può semplicemente stare immobile, lontano dalla vittima, e continuare ad ottenere intense reazioni emotive.
Una persona empatica non accetterà il silenzio dicendosi “Va bene, sarà impegnato… ci sentiremo quando potrà… io, intanto, continuo la mia vita”.
Le persone empatiche non lo fanno mai.
Nel silenzio iniziano a pensare che sia successo qualcosa (soprattutto comparando quella fase alla precedente, quella dell’idealizzazione e del love bombing) e molto rapidamente inizieranno a pensare che quel “qualcosa” sia a loro carico.
Una persona affettivamente dipendente inizierà a fare qualsiasi cosa per cercare di comprendere cosa sia accaduto e porvi rimedio.
In poche parole, questo semplicemente significa che la vittima non continuerà la propria vita salvaguardando se stessa, ma porterà rifornimento narcisistico di altissima qualità pur non ricevendo alcuna risposta.
Inoltre, dopo essere stata sottoposta a numerosi e ripetuti episodi di questo tipo, una vittima diventerà estremamente sensibile anche alla più minima forma di silenzio e farà di tutto per cercare di evitare che si ripresenti, entrando in uno stato di attivazione e di allerta costante.
Inizierà a fare supposizioni ed anticipazioni su tutto quello che potrebbe riattivare la risposta del silenzio, analizzando ogni proprio minimo movimento per evitare che questo determini una nuova frattura.
In questo senso, l’abuso compie la propria parabola devastante: pur nell’assoluta immobilità del carnefice, la vittima attiva ed alimenta l’erosione della propria identità per evitare un nuovo episodio abusante.
E proprio nel momento in cui cerca di proteggersi dal dolore, compiacendo il proprio aguzzino, la vittima ne compie il sadico disegno.
Promemoria: l’amore è qualcosa che si dimostra, non che si dice.
Dott.ssa Claudia Scarpati
Psicologa Psicoterapeuta

www.narcisista.it

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