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martedì 5 marzo 2013

Ridotti ad una cosa


E' possibile che si riduca tutto a culo, fica, frusta, troia, porco, sbattimi e succhiamelo e che cortesia, dialogo e "umanità" siano così distanti dal modo di pensare di tante persone?
Sono io quello "sbagliato" o c'è qualcosa che non va in questo modo così superficiale e talmente asettico da risultare disgustoso ai miei occhi?

Un amico poco tempo fa mi fece notare come "cortesia" sia l'essenza del Giappone ed ovviamente, visto che non smetto mai di imparare, mi domando il perché di tutta questa ostentatezza quasi maniacale con un modo di fare che funziona esattamente all'incontrario del nostro. Così ho trovato on line questo piccolo racconto sulla cortesia in un blog di un italiano che ha deciso di vivere in quel paese.
Ecco il pezzo.

"Per la serie “brevi pillole”, quest’oggi parlo di cortesia giapponese. Argomento spinoso e contorto, che sicuramente non sono nemmeno in grado di affrontare, ma che nasconde un mondo di cui probabilmente si può anche evitare di sospettare l’esistenza. In pratica, tutta la cultura giapponese è centrata sul far sentire l’altro a proprio agio, eseguirne le volontà ed evitare l’imbarazzo, e da questi punti fondamentali si sviluppano una serie di comportamenti che potrebbero sembrare astrusi, ma che hanno una loro (perversa) logica dietro.
Esempio pratico: le porte dell’ascensore si stanno chiudendo, si intravede una signora che sta correndo verso l’ascensore, premo il tasto per evitare che si chiudano e la signora entra. Adesso arriva il quesito: cosa dirà la signora?

Io pensavo che potesse dire “arigatò” (cioè, grazie), ma ha in effetti detto “sumimasen” (cioè, scusa), ovviamente inchinandosi per esprimere il suo dispiacere. Dunque, al posto di ringraziarmi perché mi ero “sforzato”, ha preferito esprimere le sue scuse per avermi “costretto” a questo atto di cortesia verso di lei con il suo comportamento. Il che, a pensarci bene, è sì raffinato ma anche, in un certo senso, meno immediato, e richiede un po’di adattamento…

Ecco, io ho sempre pensato di avere un tipo di sensibilità giapponese per questo tipo di cose, ma ora vedo che ho ancora molto imparare…! Trovo affascinanti i mille piccoli accorgimenti che i giapponesi adottano come conseguenza naturale della loro filosofia di vita, come ad esempio il momento della consegna del resto (otsuri) nei negozi “tradizionali” (ad esempio, le catene commerciali di stile occidentale non lo adottano). La cassiera (o il cassiere, ma vedo che, a giudicare dalle proporzioni, qui è considerato come un lavoro da donne), prima di consegnarlo, conta le banconote che le hai dato ad alta voce, dicendoti quanto “ha ricevuto” (usando tra l’altro un verbo che vuol dire “ricevere dall’alto”, e che si usa per le grazie divine e cose del genere); poi ti annuncia ad alta voce il resto; poi conta il resto davanti ad i tuoi occhi ed infine, momento clou, mette il resto su un vassoietto (generalmente di lacca o di pelle) molto elegante e te lo porge inchinandosi. Ho chiesto alla mia “guida spirituale” di questo e lui mi ha detto “In fondo, il resto che il commerciante ti porge appartiene già a te, ed è nelle ‘mani sbagliate’; dunque, il minimo che possa fare per restituirti quanto ti spetta e possiede in maniera indebita è di porgertelo con il massimo del rispetto”. Inutile dire che non arrivo a queste sottigliezze.
Insomma, penso che questo non sia l’ultimo post sulla cortesia che scrivo, visto che ci sono spunti in abbondanza! Quindi, prima o poi, un altro ne capiterà, sempre se questo primo vi è piaciuto…
Mata ne!"

Ma c'è altro, da un'altra parte, un italiano che vive a Fukuoka che fa questa riflessione: "In Giappone e a contatto con i giapponesi ho capito che noi italiani non siamo più abituati alla “cortesia”, ad utilizzare con naturalezza, senza sentirci in qualche modo prostrati, parole come “grazie” o “scusa”. Tutto ciò non e’ per i giapponesi, come spesso si insinua in Occidente, soltanto una serie di formule vuote e di cortesia; sono invece strumenti “vivi”, desiderio “normale” e comune di un quieto vivere, di un’armonia spontanea, di un più facile e meno traumatico relazionarsi con l’altro da sé."


E questo mi torna. S'è perso l'anima delle cose e la bellezza di una relazione prima di conoscenza, poi di esplorazione ed infine anche di complicità che non necessariamente deve sfogare in un rapporto di sesso. Il piacere nasce dalle piccole cose, l'interesse per il dettaglio ed allora guardando in grande, troveremo il mondo più affascinante di come ci sembra a prima vista. Qualcuno potrà obbiettare che ho preso dei pezzi che mi sostengano e che sicuramente sono di parte e forse è pure così, ma rimane il fatto che qualcuno ci ha chiamati: "sapiens" e che alla fine significa solamente, sapiente, erudito, che conosce la ragione delle cose. Basta perché sia "uomo"?

Dotto ed erudito è anche un pc opportunamente istruito. Basta la conoscenza tecnica perché sia "homo sapiens"? Non credo proprio.

Allora il mascherarsi dietro ai silenzi, l'evitare il dialogo, il piacere dell'approfondimento e la socializzazione riducendo il tutto ad un mascherarsi dietro ad un bel corpo, ad una bella lingerie, alla spersonalizzazione di se attraverso un blog, un profilo di fb farlocco, un "quel che vi pare" che si può attuare in rete, basta a rendere fattibile una "storia"?
Per me è solo timore di se, di non sapersi relazionarsi che basta solamente un sono una troia, mi piace prenderlo nel culo, sono decisa, sono "spinta" e pure tanto manca di quella sostanza che ripeto, si chiama empatia. Il che non confondersi come ha fatto qualcuna, con la capacità di emozionarsi. L'empatia è decisamente qualcos'altro e che ci fa discernere spesso tra il bene ed il male, che rende possibile capire gli altri ed allo stesso modo, non trincerarsi dietro quello che è solo egoismo e semplicità sentimentale. Mi viene in mente quel prefetto donna di cui non ricordo il nome che fingeva di piangere sulle macerie del terremoto.

Ecco.



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